Niola Doa

Chahai, un anziano cammelliere tubu del clan dei Mourdia dall’età indecifrabile, con un compare e due cammelli, venne a portarci due ghirbe piene d’acqua sull’altipiano, durante un campo prolungato con archeologi inglesi. La sera davanti al fuoco aveva eccezionalmente voglia di parlare e, con molta calma, sottovoce, preparando un the, ci raccontò una breve storia, legata alla sua gente e a quel luogo.

Tanto tempo fa in questo luogo, quando c’erano ancora verdi pascoli e acqua in abbondanza, viveva un popolo formato da uomini e donne molto affascinanti, di statura elevata con sedere abbondante, col corpo spesso finemente decorato e capelli lunghi: un popolo famoso in tutta la regione per la loro bellezza e creatività. Tutti amavano assai la loro terra ed erano profondamente legati al loro capo, un potente sciamano, che ne regolava l’esistenza quotidiana. Situata in una verde vallata sopra un altipiano difficilmente accessibile, la piccola comunità era ben organizzata e ognuno aveva il suo ruolo: raffinati artigiani della pietra, esperti cacciatori e ottimi conoscitori dei prodotti naturali del terreno, abili in cucina e nella concia delle pelli. Apprezzavano la pace e detestavano la guerra, al contrario di tanti loro consimili vicini, che invece avevano un vero e proprio culto della battaglia. Vivevano in armonia con la natura e, non appena si presentava un’occasione, come nuove nascite, nuove unioni e adolescenti di ambo i sessi che diventavano adulti e potenzialmente fertili, lo sciamano organizzava loro feste propiziatorie con danze diverse accompagnate da suonatori, grandi fuochi, cibo in abbondanza e animali sacrificati per l’occasione. Nessuno sa bene cosa successe, ma sicuramente accadde qualcosa che fece arrabbiare il divino, fatto sta che un bel giorno, anzi, un bruttissimo giorno, tutti gli uomini e tutte le donne di ogni età furono puniti in modo esemplare e trasformati in pietra: guglie svettanti e appuntite, torri imponenti, archi rotondeggianti; il tutto secondo il fantasioso e potente capriccio divino.

Quel luogo è situato nella parte settentrionale del massiccio dell’Ennedi ed è oggi accessibile attraverso un difficile accesso pietroso. I nomadi che gravitano nella regione, come Chahai, lo chiamano Niola Doa, che in lingua locale significa “le guglie delle fanciulle”: un incantevole labirinto di piccole torri e sculture di arenaria poggianti su un morbido tappeto sabbioso con al suo interno numerose testimonianze rupestri dell’antico popolo della leggenda, compreso le immagini incise sulla pietra di quelle belle e sfortunate fanciulle. Niola Doa è uno dei rarissimi luoghi sahariani con toponimo locale derivante da un riferimento a graffiti preistorici.





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